Gino & Me

Adozione responsabile

Scrivere dell’adozione di Gino significa scrivere di me. Sposato da neanche un mese, forse con un colpo di testa improvviso, ho deciso che io e mia moglie avremmo dovuto avere un cane. Mi immaginavo bucoliche scene da famiglia del Mulino Bianco, con il cane festante prima di metterti a tavola per fare colazione, mentre nell’aria riecheggia una canzone anni 50. Colto quindi da questa irrefrenabile voglia di dare amore (e direte voi, non ti bastava tua moglie?), sfidando i ragionevoli dubbi dovuti all’esigenza, una volta preso il cane, di sfamarlo, educarlo, lavarlo e curarlo, mi metto alla ricerca di un cucciolo da adottare.

Capito sull’annuncio di adozione dell’ ENPA di Gioia Tauro, e lo vedo. Il messaggio era stringato: “cucciolo di tre mesi ritrovato alla stazione degli autobus, attaccato ad una panchina con dei lacci di scarpe a mò di guinzaglio. Cerca adozione”. E’ fatta, pensai. Chiamai il numero, presi mia moglie che nel frattempo protestava (E i peli! E il mangiare! E dobbiamo lavorare!) ed andammo dal veterinario, luogo dell’appuntamento con i volontari ENPA.

Ricordo ancora l’espressione della mia dolce consorte una volta visto quello che sarebbe poi diventato Gino. La signora, infatti, nonostante una apparente scorza durissima, si è sciolta in lacrime appena visto. Con un po’ di malignità lo feci prendere a lei in braccio. Il contatto fisico fu fatale. Mi guardò, e senza parlare capii. “Va bene ragazze” dissi alle volontarie “Mettiamo il microchip?”. Era il 30 settembre 2015, e fu lì che, con la sua adozione cominciò la mia (o meglio nostra) vita col cane. Da precisare che sono Calabrese. Molti conoscono la situazione critica dei randagi in questa regione, quindi, oltre a fare un’opera di bene, mi sento anche in parte responsabile di una scelta fatta per il bene della comunità.

Dopo l’adozione, i primi giorni con Gino sono stati indimenticabili. Lasciando perdere il fatto che per quasi un mese ho dormito sul divano, vicino a lui, portandolo fuori nel cuore della notte per fargli fare i bisogni (all’epoca aveva 3 mesi), qualche timido tentativo di insegnargli qualche comando di base, tonnellate di libri sui cani, visite continue a siti di informazione cinofila…insomma, mi sentivo come un bambino eccitato, che cercava di far funzionare al meglio il nuovo amico peloso che si era trovato. Il tempo di finire le vaccinazioni obbligatorie, ed era arrivato Novembre. Mia moglie è partita (il giorno del mio compleanno… grazie compagnia di navigazione), ed io mi sono ritrovato insieme a ‘sto peloso. Preparata la macchina, inizio il mio cammino alla ricerca del lavoro. Mi trasferisco a Barberino di Mugello, io e Gino.

Passare da un ambiente all’altro, e soprattutto da una casa con giardino ad un appartamento, ha comportato una modifica radicale della routine. Tra un colloquio e l’altro, portavo fuori il cane ogni 3 ore, ma, dopo Natale, le rimostranze dei parenti sul fatto che lo scemo (lo chiamo così) avesse squartato un divano, rovinato tre porte e mangiucchiato due sedie, mi impongono di trovare una soluzione. Nelle uscite con Gino avevo fatto amicizia con il padrone di un Siberian Husky, che mi parla di quest’associazione cinofila, Il segno di Fido. Come sempre mi informo, prendo contatti e si comincia.

Ho cominciato così l’educazione di Gino, seguito da Marta Bottali. Insieme a lei, abbiamo potuto lavorare su questo meticcio (mezzo X e mezzo Y), e finalmente le cose sono andate a posto. Obbediva ai comandi, si era calmato, e notavo che piano piano l’attaccamento verso di me trovava il giusto equilibrio, restavo sempre il suo punto di riferimento, riuscendo a creare un binomio di discreto successo. Perlomeno ora eravamo un cane educato ed un padrone più responsabile. Io e Gino siamo stati seguiti da Marta fino a Febbraio, poi, la mancanza di lavoro anche in Toscana mi ha costretto a tornare in Calabria. Qualcosa, però, era cambiata. La consapevolezza di avere un amico a quattro zampe, le esperienze passate insieme in meno di un anno, mi avevano cambiato. Mia moglie a fine Febbraio torna a casa, e nota anche lei il cambiamento. A mia moglie, un po’ con presunzione, un po’ perché “so come fare”, insegno le stesse cose che Marta insegnò a me. Ora, a quasi un anno di vita insieme, ed ormai coinvolto anche io nel mondo del volontariato (sono entrato nell’ENPA, con buona pace delle volontarie), il sogno della famigliola della Mulino Bianco comincia a prendere vita. Tutto questo grazie soprattutto ad Il Segno di Fido.

Alberto